La verità è scelta o manipolazione?
I bambini di Buča, i bambini di Gaza sono veri?
Fermati. Rileggi la frase.
Questa domanda dovrebbe essere inconcepibile.
Eppure scorrendo immagini di corpi dilaniati, edifici polverizzati, madri che urlano, questa domanda ci attraversa come una lama. Abbiamo costruito un mondo dove anche l’orrore più reale è diventato dubitabile.

La verità è scelta o manipolazione?
Il dubbio è il nostro meccanismo di difesa predefinito. E qualcuno ha capito come sfruttarlo.
Un esperimento di cui siamo tutti cavie inconsapevoli. Certo, le persone credono o non credono a Gaza principalmente per ragioni politiche preesistenti. La possibilità tecnica della simulazione può rafforzare o facilitare la negazione, ma il dubbio nasce anche da contesti politici e sociali preesistenti.
Jean Baudrillard lo chiamò “il delitto perfetto”: non uccidere la realtà, ma renderla indistinguibile dalla sua simulazione.
Scrisse La guerre du Golfe n’a pas eu lieu (La guerra non ha avuto luogo), non perché negasse i morti, ma perché era stata completamente mediata, simulata, spettacolarizzata. Il simulacro aveva creato un ordine simbolico autonomo. Era il 1991. Oggi quella profezia sembra infantilmente ottimista.

Il delitto perfetto del dubbio
Il nuovo delitto perfetto non è far credere al falso, è rendere il dubbio così economico e scalabile che può essere distribuito industrialmente. Il dubbio in sé è sano, necessario. Ma il dubbio sistematicamente iniettato come strategia di potere è altra cosa.
E funziona. Più vediamo simulazioni, meno crediamo a tutto.
La conseguenza è empatia paralizzata, azione ritardata, crimini di ogni sorta che accadono in streaming mentre noi discutiamo se i pixel siano autentici.
La simulazione è diventata arma di erosione della compassione.
Perché se tutto può essere falso, o quanto meno si può insinuare il dubbio, allora niente richiede davvero la nostra risposta emotiva immediata. Possiamo sempre aspettare “conferme”, “fact-checking”, “verifiche indipendenti”. Che arrivano tardi, per l’azione, oppure mai.
Intanto i corpi si accumulano. Reali. Ma noi, nel dubbio, scrolliamo oltre.
“Ma siamo sicuri? Potrebbe essere propaganda! Aspettiamo fonti terze!”.
E mentre aspettiamo – prudenti, responsabili, epistemologicamente cauti – l’orrore continua.
D’altro canto, non avrebbe senso credere ciecamente a tutto.
Però c’è un’asimmetria inquietante: chi compie atrocità usa la simulazione per seminare dubbio, non per creare false prove.
Spesso non hanno bisogno di deepfake per creare disinformazione; basta che il dubbio sui crimini reali possa diffondersi. E in questo, la semplice possibilità della simulazione perfetta è sufficiente.
Superpotere o maledizione?
I miti fondativi di ogni civiltà sono simulazioni narrative:
– le leggi sono simulazioni di un ordine naturale che la natura ignora;
– il denaro è simulazione di valore, pezzi di carta o bit digitali che valgono perché crediamo collettivamente che valgano;
– l’identità nazionale è simulazione di confini che la geografia non riconosce.
L’AI generativa ha solo reso tecnicamente accessibile e velocizzata quella che è sempre stata la nostra condizione ontologica: siamo animali che simulano. È il nostro superpotere e la nostra maledizione.
La tecnologia non determina di per sé il bene o il male: il suo impatto dipende dal contesto, dagli obiettivi di chi la utilizza e dalle strutture di potere in cui opera. Ma gli strumenti non operano certo nel vuoto: esistono dentro rapporti di potere, strutture economiche, contesti politici.
Il punto non è “l’AI è buona o cattiva” ma “chi la controlla, per quali fini?”.
Siamo una specie capace di immaginare futuri alternativi e costruire controfattuali. Molta della nostra cultura – lingua, arte, legge, scienza – si fonda sulla capacità di simulare mondi possibili, anche se in modi diversi da cultura a cultura.
Però c’è una differenza cruciale tra simulazione consapevole e simulazione spacciata per realtà grezza.
Quando uso Midjourney per visualizzare un’emozione che le parole non catturano, o modifico un’immagine per proteggere un testimone, quando creo scenari didattici per salvare vite future, sto usando la simulazione come strumento di verità e comprensione condivisa.
Ma quando fabbriche di troll generano migliaia di video falsi per sommergere le testimonianze vere sotto un’onda di rumore, quando la simulazione diventa arma per paralizzare l’azione, allora stiamo usando lo stesso strumento per uccidere la possibilità stessa di compassione condivisa.
Siamo la generazione cerniera. Portiamo la memoria di un mondo più semplice e la visione di uno più complesso. Ed è nostra responsabilità non recuperare certezze assolute, ma imparare strumenti di navigazione nel dubbio.

La verità è una scelta?
Possiamo continuare a creare, a simulare, a giocare con tutti gli strumenti magnifici che ci permettono di rendere visibile l’invisibile. Ma dobbiamo – dobbiamo! – mantenere viva quella capacità di credere quando il dubbio diventa complicità.
Quando crei, quando usi questi strumenti potenti, chiediti: sto costruendo ponti verso la verità o scavando fossati di confusione? Sto usando la simulazione per proteggere, educare, esprimere, o sto aggiungendo rumore a un mondo già assordante?
La verità richiede una scelta consapevole: non possiamo controllare tutti i fatti, ma possiamo decidere come rispondere a ciò che appare davanti a noi. Questa scelta certamente non è mai del tutto libera: avviene dentro infrastrutture di potere, chi controlla le piattaforme, chi addestra i modelli, chi possiede i server su cui girano queste AI.
La responsabilità individuale è necessaria ma non sufficiente. Serve anche costruzione collettiva di contropotere informativo.
Vai. Crea. Simula. Menti magnificamente quando necessario, nell’arte, nella protezione, nell’educazione.
Ma non farlo in solitudine. Sostieni infrastrutture informative non estrattive, piattaforme cooperative, AI open-source sotto controllo comunitario, network di fact-checking dal basso. Perché la possibilità della simulazione ci rende sordi all’urlo reale della sofferenza solo se restiamo isolati nel dubbio.
Quale simulazione stai creando oggi? E al servizio di quale verità?
Perché forse la domanda giusta non è “È vero?” ma: “Cosa cambierebbe se scegliessi di crederci?“.
E se la risposta è “Potrei fare qualcosa per fermare quella sofferenza”, allora, ecco, la risposta ce l’hai senza bisogno di chiedere all’AI.
Alcune immagini sono state create o modificate con intelligenza artificiale generativa, a partire da fotografie reali o prompt testuali.
