Quanti lamentano scarsa visibilità sui social, sul web e nei media tradizionali di contenuti importanti, di denuncia, di verità e valore?
Ci si interroga spesso su come riuscire a creare contenuti efficaci e opporre una contro narrazione su argomenti – immigrazione e diritti, ad esempio – che ne avrebbero tanto bisogno, visto il flusso di fake news che invade la rete.
Per quanto crediamo ovviamente nel potere comunicazione, e che tanto si può fare per sfruttare grammatica, sintassi e tecniche del linguaggio digitale al fine di rendere i contenuti più efficaci sui social media, siamo convinti che non si tratta solo di un problema di narrazione.
La comunicazione è un atto complesso. Include quello che Hans Robert Jauss, a proposito della lettaratura, chiavama ‘orizzonte d’attesa’.
Ovvero quel complesso di gusti, valori, desideri, saperi, contesto e aspettative che i lettori hanno nei confronti dell’opera letteraria.
Puoi cambiare la narrazione come vuoi, ma se quella atterra in un certo orizzonte d’attesa, ogni piega del discorso virerà di conseguenza.
E sappiamo bene come l’immigrazione sia diventata uno spauracchio per tante persone e non solo di un certo colore politico.
Perché immigrazione prima ancora che razzismo richiama il tema dell’altro, il diverso, quello che non appartiene alla propria cerchia. E il sentimento di respingimento nei confronti dell’altro aumenta quando aumenta la paura per il futuro, quando le sicurezze della propria vita presente ma soprattutto futura traballano.
L’antropolologia ci insegna che più ho timori relativi al mio destino, più la paura dell’altro cresce (e l’altro va ad assumere inoltre anche la funzione salvifica di capro espiatorio, René Girard).
Finché la sinistra non accoglierà il futuro e i cambiamenti scientifici, tecnologici, sociali con un segno positivo e di progresso ma, anzi, continuerà a insufflare paure e catastrofisimi (globalizzazione, tecnologia, demografia, digitale… tutto è male e prodromo di apocalisse), e a professare il ritorno alle origini come via di salvezza (slow, decrescita felice, mestieri antichi, ecc.), lascerà le masse senza sogno, senza energia propulsiva e speranza verso capacità e strade che possano trasformare i cambiamenti in atto in opportunità di miglioramento.
Una sinistra orwelliana non può che educare e crescere un popolo di destra, angosciato da paure e disperazione, il concime migliore della paura verso l’altro.
Abbiamo oggi più che mai bisogno di infondere quella fiducia nel cambiamento, quella capacità di far leva sui cambiamenti in atto per trainarli a favor di popolo che aveva Enrico Berlinguer:
“Siamo di fronte a una vera e propria crisi del mondo.
Viviamo in un’epoca per molti aspetti suprema della storia dell’uomo sia per le possibilità che per i rischi.
Innanzitutto bisogna impadronirsi il più possibile della conoscenza di questi fenomeni. A tutti i livelli.
Su questa base bisogna poi definire politiche adeguate a stimolare, a orientare, controllare e condizionare le innovazioni in modo che non siano sacrificate esigenze vitali dei lavoratori e dei cittadini”.
Enrico Berlinguer, La democrazia elettronica – dall’Intervista a Ferdinando Adornato, l’Unità, 1 dicembre 1983