
Intelligenza artificiale La usiamo davvero?
Alla 82^ Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia si è parlato molto di Intelligenza Artificiale.
Convegni, panel, sondaggi e anche molti film che in vario modo ne hanno fatto uso.
Paure (perdita di posti di lavoro, fine dell’autore e della creatività?), curiosità, opportunità, domande e confronti.
Con Rivoluzione.online eravamo al panel promosso dall’Osservatorio permanente di Writers Guild Italia all’interno delle Giornate degli Autori dove sono stati presentati i risultati del sondaggio “Intelligenza artificiale – la usiamo davvero?” di SWG commissionato da WGI, Anac Autori, Associazione 100autori e AIDAC Audiodescrittori sull’uso dell’IA tra sceneggiatori e registi italiani, insieme ai dati raccolti da ACMF – Associazione Compositori Musica per Film.
Una discussione aperta tra autori, esperti e accademici sulle sfide digitali del presente e del futuro dell’audiovisivo, che si è tenuto il 1° settembre 2025 presso la Sala Laguna di Venezia.
Francesca Romana Massaro, vicepresidente WGI
Alfredo Valeri, professore dell’Università La Sapienza
Ginevra Nervi, compositrice per ACMF
Vinicio Canton, sceneggiatore
Paola Furlan per Rivoluzione.online
Lorenzo Sportiello, regista 100autori
PAOLA FURLAN – Rivoluzione.online
Intelligenza artificiale La usiamo davvero?
C’è sempre qualcuno che ride scettico quando nasce un nuovo linguaggio. Poi, un giorno, quel linguaggio cambia il mondo.
Lamartine, ministro degli Esteri francese, guardando una fotografia del grande Nadar commentò:
“Non sarà mai un’arte, ma solo una copia ottica della natura. Un riflesso di vetro su carta può essere considerato arte? Dov’è l’intento umano, la scelta creativa?”
Baudelaire liquidava la fotografia così:
“È sorta in questi deplorevoli giorni una nuova industria che conferma la stupidità… L’industria fotografica è il rifugio di tutti i pittori mancati”.
Addirittura i fratelli Lumière definirono il cinema
“un’invenzione senza futuro”.
Oggi sentiamo dire:
“Se ogni storia può essere scritta da chiunque con un prompt, che fine fanno gli autori?”
Ma c’è un errore di fondo in tutte queste paure:
l’idea che la tecnologia sia “altro da noi”.
CYBORG
Donna Haraway lo aveva intuito: siamo già cyborg.
Lo siamo sempre stati.
Ogni tecnologia che abbiamo mai creato non è mai stata “altro”: è un gemello che replica (aerei/volo, protesi/parti del corpo, AI/processi cognitivi) o un’estensione che amplifica (bastone/braccio, telescopi/vista, scrittura/memoria, mappe/orientamento).
La strategia evolutiva dell’essere umano è proprio questa: evolversi al di fuori del proprio apparato biologico. La giraffa che allunga il collo – noi costruiamo strumenti. Invece di adattare il nostro corpo per volare, costruiamo aerei. Invece di potenziare biologicamente il cervello, creiamo computer.
La tecnologia È la nostra evoluzione.
Persino gli dei antichi erano cyborg: ibridi, fusioni.
Nelle Metamorfosi di Ovidio, nel Gilgamesh, nel Mahabharata c’è sempre fusione, mai separazione.
La vita tende a inglobare, fondere. Non a respingere.
E gli angeli? Interfacce tra dimensioni diverse, messaggi che diventano presenza fisica. In un certo senso, i primi cyborg della storia – spirito che si fa algoritmo, divino che si traduce in umano, una specie di antica AI: che elabora l’ineffabile e lo restituisce in forma comprensibile. Media tra incomprensibile e comprensibile. Gli angeli sono i nostri primi assistenti virtuali.
Sfinge, centauri, vampiri, pinocchio, frankenstein, golem, avatar – la cultura umana è un catalogo infinito di ibridi.
Abbiamo sempre sognato fusioni, metamorfosi, attraversamenti di confine.
XENOFOBIA E TECNOFOBIA
Viviamo un’epoca ossessionata dall’altro, dal diverso. Temiamo l’immigrazione e l’intelligenza artificiale. Eppure siamo sempre stati sistemi aperti, reti che attraversano pelle, cultura, silicio.
Temiamo gli immigrati perché “contamineranno” la nostra purezza culturale. E temiamo l’AI perché “sostituirà” la nostra intelligenza naturale.
Ma quando mai siamo stati puri?
Quando mai siamo stati ‘naturali’?
Non esiste un sé integro da difendere. Esistono reti, corpi, storie intrecciate.
Xenofobia e tecnofobia sono la stessa paura: la paura di riconoscere che l’ibridazione non ci corrompe. Ci costituisce.
Essere ibridi è il nostro superpotere. Altro che la purezza!
MILIARDI DI CO-AUTORI
Calvino, già nel 1967, l’aveva capito:
“Lo scrittore, quando funziona bene, già è macchina scrivente. Il genio non è altro che trovare empiricamente la strada, là dove la macchina seguirebbe un cammino sistematico”.
E concludeva:
“Ciò che sparirà sarà la figura dell’autore per lasciare il posto a un uomo più cosciente, che saprà come questa macchina funziona”.
Se lo scrittore è già una macchina scrivente, allora l’AI non è un nemico.
È la naturale evoluzione di quello che siamo.
Ogni post, ogni story, è già un frammento di sceneggiatura collettiva.
TikTok è un laboratorio di narrativa partecipativa. Ognuno contribuisce alla propria versione di un’idea collettiva attraverso trend e challenge.
Oggi tutti vogliono essere sceneggiatori della propria vita.
E lo sceneggiatore del futuro non sarà solo autore per il grande schermo, ma facilitatore di esperienze narrative collettive.
Il teatro ha già attraversato questa trasformazione. Nel ‘900 sembrava spacciato, superato da cinema, radio, TV. E si è reinventato: invece di chiudersi in sé è tornato ad aprirsi sul mondo. Il teatro più vivo oggi non è tanto quello che si fruisce come spettatori ma quello che si fa – tutti diventano attori.

AI D’AUTORE
Ecco perché il futuro non è la sostituzione, ma l’incarnazione.
Zuckerberg qualche giorno fa ha detto:
“Ogni azienda avrà presto la propria AI, come ha una email o un sito web”.
Non a caso, la sua nuova startup si chiama Merge Labs (progetta interfacce che mettono in comunicazione cervello umano e macchina).
MERGE. Fondere, non sostituire.
E ogni creativo? Avrà presto la sua AI d’autore.
Un’estensione del proprio stile, della propria voce, del proprio sguardo.
La propria “intelligenza artificiale d’autore” – addestrata sui suoi lavori, nutrita dalle sue influenze, calibrata sui suoi valori estetici.
Stanno già nascendo nuove professioni ibride. Ma ancor più ci sarà bisogno di progettare ecosistemi narrativi, perché le vite e la creatività saranno aumentate. C’è e ci sarà sempre più una esplosione della domanda di intrattenimento (gaming, social, metaverso, entertainment experience…).
La domanda del futuro sarà: “Con quale AI lavori?”
Come Kubrick inventava steadicam e obiettivi speciali per svelare emozioni nuove, l’AI d’autore è la macchina che inventeremo per dire cose inesprimibili con il linguaggio di oggi.

MAESTRI E MAGHI
Méliès era un prestigiatore. Vide i Lumière e vide magia. Lo prendevano in giro: “cinema da baraccone”. Ma diventò maestro perché incorporò la nuova tecnologia nella sua visione.
Griffith era un drammaturgo fallito. Il cinema fu un ripiego. Ma lo riscrisse da capo. La loro curiosità li rese pionieri.
L’AI è il nuovo baraccone.
Chi oggi ha il coraggio di incarnarla, di farla diventare parte del proprio processo creativo, potrebbe essere ricordato domani come uno dei nuovi maestri del cinema.
Delle 5 fasi del lutto (Shock → Rabbia → Contrattazione → Depressione → Accettazione) è bene saltare direttamente all’ultima. Di più, non solo “accettazione”, meglio “incarnazione”. Perché l’AI non è un Golem che ci ruberà l’anima. È la prossima versione di noi stessi.
In un mondo di cyborg naturali, l’unica vera obsolescenza è quella di chi resta prigioniero del mito della purezza.
E come la fotografia non uccise la pittura ma aprì nuove strade, come il cinema non distrusse il teatro ma lo interrogò sulla sua essenza, l’AI non sostituirà i creativi: darà loro strumenti nuovi per esprimere la propria visione.
Sta nascendo una nuova arte
perché l’AI – come tutto il digitale –
non è solo una tecnologia, è anche un linguaggio.
Sta a noi decidere se restare spettatori,
o diventare maestri e maghi.
Avete molti anni davanti a voi per realizzare i sogni che non possiamo nemmeno immaginare di sognare. Steven Spielberg.
