Cyborg di natura: siamo sempre stati mostri.
Non nel senso hollywoodiano del termine. Mostri nel senso più profondo: creature ibride che eccedono le categorie, che sfondano i confini, che esistono nella zona grigia tra natura e artificio. Eppure continuiamo a terrorizzarci della nostra stessa essenza.
Siamo estesi
Sembriamo stranamente resistenti a riconoscere la nostra stessa natura ibrida, scrive Andy Clark nel suo recente saggio Extending Minds with Generative AI. La tesi di Clark: Siamo “menti estese” – sistemi di pensiero ibridi che incorporano fluidamente risorse non biologiche. L’ansia verso l’AI nasce da un’immagine cognitiva sbagliata di noi stessi come “solo cervelli biologici”. In realtà, dal GPS che sostituisce la memoria spaziale all’AI che genera testi, stiamo continuando una storia antica quanto la scrittura: l’estensione tecnologica della mente. Non stiamo diventando cyborg – lo siamo sempre stati.
Immigrazione e AI
Un paradosso grottesco: temiamo l’immigrazione e l’intelligenza artificiale mentre siamo da sempre sistemi aperti, reti di connessioni che attraversano pelle, cultura e silicio.
Se la nostra natura di base è quella di costruire sistemi di pensiero ibridi che incorporano fluidamente risorse non biologiche, perché siamo spaventati dalla nostra prossima metamorfosi?
La profezia di Haraway
Negli anni Ottanta, la visionaria Donna Haraway lanciava un manifesto che oggi suona come una profezia.
“Alla fine del ventesimo secolo, nel nostro tempo, un tempo mitico, siamo tutti chimere, ibridi teorizzati e fabbricati di macchina e organismo; in breve, siamo cyborg“.
Donna Haraway, “A Cyborg Manifesto: Science, Technology, and Socialist-Feminism in the Late Twentieth Century“
Il cyborg si sviluppa a livello simbolico come il rifiuto dei dualismi fondanti della società maschilista e tardo-capitalista. Non più uomo/donna, natura/artificio, mente/corpo. Il cyberfemminismo di Haraway non è quindi né macchina né uomo, né maschio né femmina, situato oltre i confini delle categorie che normalmente utilizziamo per interpretare il mondo.
Quando Clark scrive
“we both trust and question the suggestions of the more personalized resource, just as we might trust and question ideas that suddenly bubble up from our own biological unconscious”
sta echeggiando la critica harawayiana all’io unitario e controllato.
Ma Haraway aveva già smascherato la finzione: l’io unitario, quello che crede di comandare i propri pensieri, è un fantasma patriarcale, un’illusione di controllo che nasconde il vero funzionamento della mente come assemblaggio distribuito, campo di forze in perpetuo movimento.
Se, come dice Clark, devo “fidarmi e mettere in discussione” tanto i miei pensieri quanto quelli dell’AI, chi è esattamente questo “io” che si fida? Haraway lo sapeva: il cyborg non ha un centro, è pura relazione, pura processualità. Il suo cyborg nasceva dall’esperienza vissuta della scissione: essere donna in un mondo di macchine progettate da uomini.
Clark pensa attraverso il cervello, come se quello fosse l’unico organo che conta. I suoi “extended minds” galleggiano in uno spazio quasi etereo, dove la cognizione si distribuisce elegantemente tra neuroni e algoritmi senza sporcarsi le mani con questioni di potere, desiderio, oppressione. Il cyborg di Haraway è un fuggiasco, un sabotatore che usa l’ibridazione per sfuggire alle gabbie identitarie.
Mentre Clark celebra l’ibridazione come ottimizzazione cognitiva (i suoi “personalized AI” sono camerieri mentali ultra-efficienti), per Haraway non si tratta di gestirlo meglio, il cyborg diventa liberazione. Haraway sapeva che il corpo femminile è sempre stato un laboratorio cyborg dove sono agiti anche i poteri della tecnologia. Chi progetta? Chi beneficia? Chi viene escluso?
Clark, navigando nelle acque più calme della cognizione distribuita, può permettersi il lusso di una tecnologia apparentemente “neutra”. Ma la neutralità è sempre il privilegio di chi non viene oppresso, di chi può ignorare le implicazioni storiche, politiche, corporee della tecnologia. È la stessa illusione che alimenta il mito della purezza.
Paure e purezza
Oggi temiamo gli immigrati perché “contamineranno” la nostra “identità e purezza” culturale.
E temiamo l’AI perché “sostituirà” la nostra intelligenza naturale, contamina l’umano.
Ma quando mai siamo stati puri? Quando mai siamo stati ‘naturali’?
Il cyborg di Haraway, ibrido e impuro per definizione, ci ricorda che ogni forma di identità è già contaminata, già tecnologica, già storicamente situata.
La paura della sostituzione — dell’umano da parte dell’AI, del nativo da parte dell’altro — nasce dal rifiuto di accettare questa verità: non esiste alcun sé integro da difendere, solo reti, corpi, storie intrecciate.

Il corpo obsoleto di Stelarc
Mentre i teorici scrivevano, Stelarc trasformava il proprio corpo in manifesto vivente. La sua teoria del “corpo obsoleto” è devastante nella sua semplicità: l’uomo ha creato un ambiente tecnologico che il corpo da solo non può sperare di gestire.
“Questo corpo obsoleto dovrebbe essere aggiornato come aggiorniamo i computer?”
chiede provocatoriamente l’artista.
Nel 2007, Stelarc si fece impiantare sul braccio sinistro un orecchio creato dalle proprie cellule. Con microfono bluetooth integrato. Un orecchio che ascolta per il mondo intero.
La sua filosofia radicale? Il corpo così com’è non è più in grado di vivere adeguatamente una realtà che si sta evolvendo a velocità incontrollabili. È necessario quindi pensare al corpo come struttura componibile, pronta ad ospitare innesti tecnologici.
Se questo ti sembra folle, come definisci i miliardi di smartphone saldati alle nostre mani? Chi è il vero cyborg?
L’estensione del Sé
Clark non filosofeggia nel vuoto. Le ricerche neuroscientifiche sul “predictive processing” dimostrano che i cervelli come i nostri diventano esperti nel risolvere incertezze chiave compiendo diverse azioni nel mondo, dall’uso di un bastone per sondare la profondità di un fiume, all’attivazione di una risorsa online per risolvere qualche altro tipo di incertezza.
La neuroscienza conferma: il cervello non distingue tra strumento interno ed esterno.
La penna che scrive, il GPS che naviga, il telefono che ricorda – sono tutti parte del sistema cognitivo distribuito che chiamiamo “io”.
Da strumenti di pietra a megaliti, da sentieri segnati a piani urbanistici, abbiamo costruito mondi che estendono le nostre menti e alterano i compiti che il ragionamento basato sul cervello è chiamato a svolgere.
Il corpo senza organi
Gilles Deleuze e Félix Guattari avevano intuito tutto: il “Corpo senza organi” non è assenza, ma pura potenzialità. Un campo di forze che si connette, si assembla, diventa attraverso le sue relazioni.
Siamo corpi senza organi fissi, sistemi aperti che si ridefiniscono attraverso ogni connessione.
Quando usi Google traduttore, il tuo cervello linguistico si estende attraverso algoritmi.
Quando un migrante porta nella tua città una ricetta di famiglia, la tua cultura diventa cyborg.
L’antica paura del nuovo
Nel Fedro di Platone, troviamo una chiara affermazione della paura che le nuove invenzioni come la lettura e la scrittura avranno effetti catastrofici sulla memoria umana.
Ogni generazione piange la “purezza perduta” mentre al tempo stesso, ibridandosi, evolve attraverso nuove alleanze, estensioni, fusioni.
Xenofobia e tecnofobia sono fossilizzazioni psichiche.
Rifiuti di riconoscere che l’ibridazione non ci corrompe, ci costituisce.
La strategia evolutiva dell’essere umano è stata proprio quella dell’integrazione con l’Altro da sé – dalle lingue alle tecnologie, dalle spezie alle idee, all’artefatto.
cAIborg: la sfida dei nostri tempi
Clark propone una “extended cognitive hygiene” – un’igiene cognitiva estesa. Non si tratta di resistere alla contaminazione, ma di imparare a discernere quali contaminazioni ci arricchiscono e quali ci impoveriscono.
Come società, dobbiamo dare priorità alle tecnologie che permettano collaborazioni sinergiche sicure con le nostre nuove suite di risorse intelligenti e semi-intelligenti. Come individui, dobbiamo diventare migliori estimatori di cosa fidarci e quando.
Il Manifesto dei mutanti consapevoli
Siamo cyborg. Lo siamo sempre stati. È tempo di smettere di negarlo e iniziare a progettare consapevolmente la nostra prossima evoluzione.
Non si tratta di diventare macchine. Si tratta di riconoscere che siamo già reti di relazioni che attraversano confini di specie, cultura e materialità.
La sfida non è preservare una purezza inesistente, ma coltivare l’arte dell’ibridazione creativa.
La politica del futuro non può essere fondata sulla purezza identitaria. Deve essere una politica delle alleanze, delle contaminazioni creative, delle ibridazioni che espandono le possibilità di vita.
Se la tua essenza viene dall’ibridarti con il mondo, perché sei così terrorizzato (invece che eccitato) dalla prossima mutazione di te stesso?
In un mondo di cyborg naturali, l’unica vera obsolescenza è quella di chi si ostina a rimanere prigioniero del mito della purezza.
Quale connessione stai rifiutando per paura? Quale estensione di te stesso stai negando per conformismo?
Il passato e il futuro appartengono a chi sa diventare.
Per approfondire
- Clark, Andy & Chalmers, David. The Extended Mind, 1998
- Clark, Andy. The Extended Mind. Nature Communications, 2025.
- Haraway, Donna J. A Cyborg Manifesto: Science, Technology, and Socialist-Feminism in the Late Twentieth Century. Socialist Review, 1985
- Stelarc. Obsolete Body: Suspensions. Ed. James D. Paffrath. Davis, CA: JP Publications, 1984.
- Deleuze, Gilles & Guattari, Félix. Come farsi un corpo senza organi? Millepiani. Castelvecchi, 1997.
- Miglietti, Francesca Alfano. Identità Mutanti: Dalla piega alla piaga: esseri delle contaminazioni contemporanee. Bruno Mondadori, 2008.
- Capucci, Pier Luigi. Il Corpo Tecnologico. Baskerville, 1994.
- Orlan. Manifesto dell’Arte Carnale. 1989.
- Braidotti, Rosi. Il Postumano: La vita oltre l’individuo, oltre la specie, oltre la morte. DeriveApprodi, 2014.
- Perniola, Mario. Il sex appeal dell’inorganico. Einaudi, 1994.
- Macrì, Teresa. Il corpo post organico. Costa & Nolan, 1996.


